PADOVA. Non solo il Centro per i trapianti di rene dell’Azienda ospedaliera-Università di Padova è il primo in Italia per numero di trapianti eseguiti - oltre 2.200 in trent’anni - ora è anche il primo al mondo ad aver avviato una catena “samaritana” da donatore deceduto. Un paziente in attesa di trapianto aveva un familiare pronto a donargli un rene, ma fra i due non c’era compatibilità. In casi come questo, quando è possibile si ricorre al trapianto in modalità “cross-over” ovvero incrociando due coppie di paziente-donatore la cui compatibilità si incroci. In concreto viene data la possibilità a una coppia donatore-ricevente, tra loro incompatibili, di ricevere e donare un rene incrociando le loro compatibilità immunologiche con quelle di altre coppie donatori-riceventi nella stessa condizione.
La sequenza degli incroci viene detta “catena di trapianto cross over” ed è un programma di donazione e trapianto di rene da donatore vivente. Più spesso si esaurisce nelle due coppie, quindi con due trapianti, più raramente dà luogo a una sorta di effetto domino con più trapianti. L’equipe del professor Paolo Rigotti, direttore del Centro Trapianti di rene di Padova ha lavorato due anni a un programma per avviare una “catena samaritana” in assenza di una seconda coppia donatore-ricevente, partendo quindi dal rene di un donatore deceduto. Questo è stato trapiantato nel paziente con donatore incompatibile che a sua volta donerà il suo rene a un secondo ricevente, a lui estraneo.«Considerando che il numero dei donatori deceduti è nettamente superiore alla disponibilità dei donatori viventi» sottolinea il professor Rigotti, «questo consentirà di aumentare il pool di potenziali donatori compatibili da utilizzare per l’avvio di un numero maggiore di catene che coinvolgano coppie incompatibili e pazienti difficilmente trapiantabili». Una prospettiva di grande interesse se si considera che solo a Padova ci sono 350 persone in lista per un trapianto di rene e che l’attesa media supera anche i tre anni.
La complessa fase di studio per la realizzazione del programma che ha reso possibile gli interventi è stata seguita dalla dottoressa Lucrezia Furian, dell’equipe del Centro Trapianti dell’Azienda ospedaliera: «In Italia ci sono 50 pazienti con donatore vivente incompatibile e il metodo usato finora era il cross over fra coppie che può dar seguito a una catena di varie unità. Se il cross over non è possibile l’alternativa è partire da un donatore “samaritano”, ovvero una persona che pur non avendo un “ricevente” decida di donare un suo rene, per puro altruismo. Ma finora i casi sono stati 5 in tutto a livello nazionale. Da qui l’idea di “innescare” la catena partendo dal rene di un deceduto».
Il primo trapianto è stato eseguito mercoledì, oggi ci sarà il secondo. Ma il programma firmato dall’equipe padovana va ben oltre. Grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze economiche e aziendali e del Dipartimento di Matematica dell’Università di Padova diretto dal professore Antonio Nicolò, responsabile scientifico del progetto di ricerca, è stato ideato un algoritmo per calcolare l’efficacia del programma sulla scorta dei dati del caso che di volta in volta si analizza» spiega Furian, «consentendo l’ottimizzazione delle catene di cross-over».
In questo nuovo programma sono già state inserite dieci coppie donatore-ricevente incompatibile. «È un grande risultato» rivendica l’equipe padovana, «poiché si possono attivare molte più catene “samaritane” e dare risposta a molti più pazienti. Ricordiamo che si tratta di persone costrette a sottoporsi a dialisi, con una qualità di vita fortemente compromessa».
Un vero e proprio plauso all’Azienda ospedaliera diretta da Luciano Flor e all’Università di Padova guidata dal rettore Rosario Rizzuto arriva dal professor Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro nazionale Trapianti: «È stata l’equipe padovana a offrirsi per condurre questo progetto mettendo sul campo le sue professionalità. Il risultato, a cui si è arrivati dopo un lavoro di due anni, è straordinario per le prospettive che apre. È stato un lavoro di rete dove le diverse competenze hanno contribuito in maniera egregia. Il dato rilevante è che non si tratta di un episodio, ma di un programma che mette a disposizione un modello, un software che renderà replicabile l’esperienza, un vero moltiplicatore di risorse. Al programma» conclude Nanni Costa, «riconosco un pezzo di valore anche morale non secondario».