Domenica 14 Aprile la XXII “Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti”

Umberto veronesi

PERCHE' UN TRAPIANTO SALVA UNA VITA?

Il trapianto di un organo è spesso l’unica soluzione possibile per guarire alcune malattie. Si tratta di un intervento molto delicato, che consiste nella sostituzione di unorgano malato e quindi non più funzionante con uno sano dello stesso tipo proveniente da un altro individuo (donatore). La donazione di organi è una scelta che può essere difficile da accettare. Ma visto che si tratta di una soluzione salvavita che non va a compromettere nulla per il donatore, nella maggior parte dei casi già deceduto, una corretta informazione è ciò che occorre per compiere una scelta consapevole in piena coscienza

COSA SI INTENDE PER RIGETTO?

Il rigetto è la reazione biologica con cui il sistema immunitario del ricevente riconosce come estraneo l’organo trapiantato e avvia contro di esso una reazione che porta al danno (più o meno esteso) del nuovo tessuto. Può essere acuto, se il fenomeno si verifica a breve distanza di tempo dal trapianto di un organo o tessuto, o cronico, se l’attacco da parte del sistema immunitario si manifesta nel tempo, spesso dopo l’interruzione (arbitraria) della terapia immunosoppressiva da parte del paziente

Per quali malattie può servire il trapianto?

Prelievo

Il trapianto rappresenta una terapia efficace per i pazienti affetti da una grave insufficienza d’organo, non curabile con altri trattamenti medici. Si parla di terapia salva vita nel caso in cui la grave insufficienza riguardi il cuore, il fegato, i polmoni, l’intestino e il pancreas. Per il rene, il trapianto costituisce la terapia sostitutiva naturale, molto più efficace e tollerabile rispetto alla dialisi (terapia sostitutiva artificiale).

Le malattie per le quali si può rendere necessario un trapianto sono molteplici e variano a seconda dell’organo. Ad esempio, la cirrosi per il fegato; la cardiomiopatia per il cuore; la fibrosi cistica per il polmone.

Come cambia la vita dopo un trapianto?

l tempo necessario a un completo recupero è legato all'organo in questione. Il trapianto di rene permette un ritorno a una vita normale già in venti giorni, quello di fegato rimane il più complesso

La domanda è una delle prime a cui cercano risposta i pazienti, dopo essere stati sottoposti al trapianto di un organo. «Potrò tornare ad avere la vita che svolgevo prima dell'intervento?». Dare una risposta unica non è così facile: dipende dall'età del paziente, dalle sue condizioni generali, dalla presenza di eventuali altre malattie, da eventuali complicanze. Ma il recupero sociale, nel complesso, è buono, come spiega Andrea De Gasperi, direttore del servizio di anestesia e rianimazione 2 dell'Ospedale Niguarda di Milano. 

Quando si ricorre al trapianto di fegato?

Il trapianto è indicato per quei pazienti che soffrono di malattie del fegato non trattabili con altri interventi chirurgici o terapie farmacologiche.

La indicazioni più comuni per il trapianto sono la cirrosi epatica, l’insufficienza epatica acuta, il carcinoma del fegato e altre malattie meno frequenti. Le cause più diffuse che determinano la cirrosi epatica sono il tumore epatico, l’infezione cronica da virus dell’epatite B o C, ma anche il protratto uso di alcol.

L’insufficienza epatica acuta può essere causata da infezioni virali, l’intossicazione da paracetamolo o da altri farmaci, l’avvelenamento da ingestione di epatotossine (Amanita Phalloides, un fungo), l’insorgenza della forma acuta del morbo di Wilson.

Per l’epatocarcinoma, quando circoscritto al solo organo, il trapianto di fegato rappresenta una valida cura.

Talvolta, anche tumori benigni come adenomi o angiomipossono richiedere un trapianto.

Tra le malattie meno diffuse per le quali è possibile accedere al trapianto di fegato ci sono l’emocromatosi ereditaria(malattia metabolica), la sindrome di Budd-Chiari, la malattia di Wilson.

Trapianto di rene: l'opportunità offerta dal sistema «cross-over»

Il trapianto «cross-over» può essere attuato se ci sono almeno due coppie (ognuna con un donatore e un paziente in attesa di trapianto di rene) disposte alla donazione, ma incompatibili

Prima da Bari, poi da Pisa. Da queste due città, nelle ultime settimane, sono giunte le ultime notizie relative ad altrettanti trapianti di rene «cross-over». Si tratta di una opportunità utilizzata per rendere possibile un trapianto a quei pazienti che sono in attesa, hanno un donatore, ma non compatibile. In questo modo viene invece data la possibilità a una coppia «donatore-ricevente» di ricevere e donare un rene incrociando le loro compatibilità immunologiche con quelle di altre coppie nella stessa condizione.

LA CATENA DEI TRAPIANTI

La prima procedura di questo tipo è stata eseguita in Corea del Sud nel 1991, mentre in Europa è stato necessario attendere il 1999 per registrare il trapianto di rene «cross-over». Sul piano scientifico, dunque, la pratica è abbastanza consolidata ed è diventata una modalità di trapianto accettata da molti centri in tutto il mondo. Come mai allora gli ultimi due interventi hanno fatto così notizia? Nel caso di quello effettuato a Bari, la novità è legata a due aspetti. Il primo organo è stato messo a disposizione da una persona deceduta, un passaggio fondamentale per superare l'incompatibilità immunologica che c'era tra i pazienti in lista d'attesa e i rispettivi donatori. Quanto al secondo elemento distintivo, è il numero di trapianti coinvolti nella stessa procedura a fare la differenza. «Alla fine della catena, saranno stati effettuati quattro trapianti», dichiara Paolo Rigotti, direttore dell'unità operativa complessa di chirurgia dei trapianti di rene e pancreas dell'azienda ospedaliero-universitaria di Padova, che a marzo scorso ha effettuato il primo trapianto «cross-over» da donatore cadavere. In questo caso, nella sua struttura, è stato un uomo a beneficiare del rene della persona deceduta a Genova (primo trapianto). Dopodiché, sua moglie ha messo a disposizione il proprio rene per una ricevente pugliese (secondo trapianto). Il marito di quest'ultima, a sua volta, oggi ha donato il suo rene a un’altra coppia incompatibile padovana (terzo trapianto). Infine, il rene della donatrice padovana sarà donato a un ricevente in lista d’attesa da cadavere, che chiuderà la catena (quarto trapianto). In totale sono state coinvolte dunque tre coppie. Quattro i pazienti salvati dalla dialisi

AUMENTANO GLI ORGANI DISPONIBILI

Finora in Italia per i trapianti «cross-over», alla cui base c'è sempre una donazione di tipo samaritano, s'era fatto ricorso ai donatori viventi. Una scelta che ha determinato un aumento del numero degli organi disponibili, ma che comunque spesso non basta a superare l'incompatibilità immunologica che può rendere impossibile il trapianto, a causa dei rischi legati al rigetto dell'organo. Partendo da un organo compatibile messo a disposizione da un cadavere si può dunque incrementare il numero dei trapianti e contribuire alla riduzione delle liste di attesa. Attorno alla pratica rimane però sempre viva la discussione sul piano etico: sopratutto quando si parla di donazione da vivente. Al trapianto da vivente - «garantisce risultati di funzione nel tempo più che doppi rispetto al miglior organo da donatore cadavere», sottolinea Fabio Vistoli, responsabile del coordinamento trapianti di rene e di pancreas dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana - si deve ricorrere se apporta un beneficio superiore rispetto a quello che si potrebbe ottenere con il trapianto da cadavere o nelle situazioni di urgenza e necessità in cui non vi è disponibilità da cadavere.

INCROCIO TRA ITALIA E SPAGNA

Da Pisa è invece giunta la notizia del primo trapianto «cross-over» tra l'Italia e la Spagna. La catena internazionale s'è sviluppata tra la città toscana e Barcellona, con l'«incrocio» di due coppie «donatore-ricevente» non compatibili (tutti viventi). Il risultato è stato raggiunto grazie all'accordo internazionale che vede coinvolte la Spagna, la Francia, l’Italia e il Portogallo - impegnati con programmi nazionali di «cross-over» - per allargare ulteriormente il bacino di potenziali donatori. 

«Io, il mio donatore e la mia nuova vita da trapiantato»

Alberto è del 1974, ma dice di essere rinato 21 anni fa quando ha ricevuto un rene sano. Con più di cento atleti ha partecipato ai giochi nazionali per trapiantati e dializzati ad Abano Terme

Trapiantati di rene

La mia vita è speciale, perché ho incontrato il dolore e la sofferenza fin dai primi mesi di vita». A lui piace descrivere così i suoi 41 anni. A parlare è Alberto Signorini (nella foto), trapiantato drene, uno dei partecipanti ai Giochi nazionali per trapiantati di tutti gli organi e dializzati, organizzati dall’Associazione nazionale emodializzati (Aned), il Centro nazionale trapianti e il Coni, ad Abano Terme, dove domenica si sono confrontati più di cento atleti. Obiettivo: dimostrare che la capacità di fare sport e la voglia di vivere non è detto che svaniscano con un intervento. 

LA STORIA

Alberto è nato nel 1974, ma la sua nuova vita è cominciata 21 anni fa, quando è passato dalla dialisi al trapianto. «Sin da piccolo, dopo un intervento di ricostruzione degli ureteri, mi è stata riscontrata una insufficienza renale cronica e da quel momento in poi ho dovuto convivere con ricoveri periodici e bilanciare la mia dieta alimentare, fino ai 17 anni. Di fatto ho saltato a piè pari l’adolescenza e la maturità. Nel bel mezzo dell’esplosione ormonale, carico di sogni di sport, affetto e amicizia, alla maggior età mi hanno confermato le previsioni funeste dei primi anni: la funzione renale era cessata, l’unica soluzione era la dialisi». Stop alla vita spensierata dei coetanei per una ritiro forzato in casa. «Di fatto quell’ambiente divenne il mio ospedale: facevo la dialisi peritoneale tre volte al giorno, mentre i miei amici uscivano a bere una birra».

UNA NUOVA VITA

La vita di Alberto, di fatto, non era quella che facevano tutti i ragazzi della sua età. «Per quasi due anni non sono più andato a fare una passeggiata in montagna, nessuna vacanza con gli amici, non ho più bevuto alcolici o bibite gassate, non ho più fatto sport: lo studio e la scuola erano il mio passatempo». A fare compagnia c’erano le sacche della dialisi. Ora Alberto è un trapiantato di rene che è tornato ad avere una vita normale: esce la sera, può ordinare pizza e birra al ristorante, passeggiare per i rifugi delle alpi Orobie come sulla spiaggia, ad agosto. «Ma soprattutto faccio sport - racconta - e per questo sono qui con la mia bicicletta. Perché la mia vita, iniziata nel 1974, è sbocciata di nuovo vent’anni più tardi, quando ho incontrato il mio donatore. Da allora ogni giorno il respiro, il battito del cuore, lo sguardo, l’ascolto, il gusto e il sapore sono duplici. Io e il donatore siamo due anime in un corpo solo».

L’IMPEGNO NEL VOLONTARIATO

«Da allora ho scoperto di non essere l’unico uomo speciale, ho conosciuto l’Associazione Nazionale Emodializzati e con tutti i suoi membri mi sono dato da fare per non tenere nascosto questo dono speciale. Ho gareggiato anche in Sud Africa con la mia bicicletta in una gara su pista ai mondiali delle persone trapiantate. Al traguardo, però, non arrivo mai da solo. Siamo sempre in due: io e il mio donatore di organi».

C’era anche Alberto nello scorso fine settimana alla venticinquesima edizione dei Giochi nazionali trapiantati,ai quali hanno partecipato atleti di tutte le età e con diversi organi trapiantati, provenienti da tutte le regioni d’Italia. Diversi anche i partecipanti che regolarmente si sottopongono a dialisi. Gli atleti si sono confrontati nelle specialità sportive di atletica leggera, nuoto, ciclismo, volley, tennis, tennis da tavolo, bocce. La kermesse aveva un duplice obiettivo, come ha spiegato Valentina Paris, presidente dell’Aned: «Promuovere la terapia del trapianto e della donazione e consolidare l'attività sportiva delle persone affette da insufficienza renale cronica in trattamento dialitico e dei trapiantati di organi e tessuti. Lo sport favorisce il recupero sociale e clinico, oltre al miglioramento della qualità di vita».

Ospite d’eccezione è stato Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, il quale ha sottolineato che «praticare attività sportiva rappresenta, per molti trapiantati, un percorso di recupero e benessere, ma anche un mezzo per testimoniare al pubblico l’efficacia del trapianto». Il Centro Nazionale Trapianti ha verificato l’efficacia dell’attività fisica e sportiva sui pazienti trapiantati, attraverso test e analisi specifiche. S’è così dimostrato che «la funzionalità di un rene trapiantato durante uno sforzo fisico è identica a quella di una persona non trapiantata».

Per dimostrare l’abilità degli atleti, a questa edizione dei Giochi hanno partecipato anche medici e personale infermieristico. Un confronto sportivo che è anche il segno concreto dei benefici che i pazienti possono raggiungere e della calda partecipazione di coloro che lavorano tutti i giorni a fianco ai malati.

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