Sembra fantascienza

Un virus geneticamente modificato ha salvato un'adolescente, uccidendo batteri resistenti agli antibiotici
La storia di Isabelle, con un'infezione resistente agli antibiotici dopo un trapianto di entrambi i polmoni. Si tratta della prima volta in cui si dimostra che questo approccio è sicuro ed efficace

 

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15 anni, la fibrosi cistica e un trapianto di entrambi i polmoni. Questa è la storia di Isabelle, una giovanissima paziente, con la fibrosi cistica, una grave malattia genetica che danneggia i polmoni. A 15 anni i suoi polmoni stavano collassando e la ragazza si è sottoposta al trapianto al Great Ormond Street Hospital a Londra. Ma dopo l’intervento qualcosa non è andato e Isabelle ha manifestato i sintomi di un’infezione cronica da Mycobacterium abscessus, un batterio multiresistente che non risponde agli antibiotici.

Per combattere l’infezione, oggi, i ricercatori dell’Università di Pittsburgh e del Great Ormond Street Hospital hanno utilizzato dei virus. Ebbene sì, in generale esistono dei virus, detti batteriofagi (o fagi), che riescono a infettare i batteri e a ucciderli. In questo caso i virus sono stati geneticamente modificati e il trattamento personalizzato ha avuto successo. Questo approccio, spiegano gli autori, potrebbe fornire uno strumento importante per affrontare situazioni analoghe. Nei sei mesi successivi al trattamento, l’infezione è stata debellata. La storia di Isabelle, ancora unica, è descritta sulle pagine di Nature Medicine in un articolo. Ecco com’è andata.

A soli 11 mesi Isabelle ha ricevuto una diagnosi di fibrosi cistica, una malattia genetica rara che colpisce i polmoni con infezioni resistenti e un’ostruzione progressiva. Tanto che all’età di 15 anni la ragazza aveva una funzionalità polmonare pari a circa il 30% di quella totale. Di qui, la necessità del trapianto di entrambi i polmoni. Tuttavia, settimane dopo l’intervento, i medici si sono accorti della presenza di un arrossamento intorno alla ferita chirurgica, che si era infettata, e di segni di un’infezione nel fegato. L’infezione era presente da anni e si era riacutizzata dopo il trapianto. E si era diffusa, attraverso noduli sulla pelle, in vari distretti corporei, diventando molto pericolosa. Il responsabile, identificato dai medici, è un micobatterio, il Mycobacterium abscessus, che può contaminare acqua, aria e suolo e che è parente del batterio che causa la tubercolosi.

A questo punto gli autori hanno pensato di utilizzare al posto degli antibiotici dei batteriofagi, ovvero virus parassiti, che sfruttano i batteri come ospiti per espandersi, uccidendo poi i batteri. Si tratta della prima volta in cui si dimostra un uso efficace e sicuro di batteriofagi ingegnerizzati in un paziente umano, riferisce Graham Hatfull dell’Università di Pittsburgh, che ha coordinato l’indagine e che lavora da decenni con i batteriofagi, avendo raccolto la più ampia collezione di questi microorganismi.

L’approccio basato sull’uso dei fagi è molto recente ed è stato utilizzato in una delle prime volte nel 2017, a San Diego, in California, per trattare un paziente contro un batterio multiresistente. Poco tempo dopo, ricevendo notizia della caso di Isabelle e di un altro paziente molto giovane nella stessa situazione (fibrosi cistica, trapianto e infezione da micobatterio), Hatfull si è fatto inviare i campioni dei batteri che hanno colpito i due adolescenti, e insieme al suo gruppo ha testato singoli fagi noti per essere in grado di uccidere i batteri in questione.

Il secondo paziente purtroppo è deceduto prima che gli autori siano riusciti trovato un fago adatto per trattare la sua infezione. “Si tratta di infezioni molto gravi”, rimarca Hatfull, “che possono mettere a rischio la vita”. Gli autori hanno proseguito le ricerche, individuando tre fagi candidati per combattere l’infezione di Isabelle. Ecco l’immagine dei fagi, denominati dagli scienziati Muddy, Bps e Zoej.

(foto: M. Dedrick et al./Nature Medicine 2019)

Tuttavia, due di questi tre fagi non erano così efficienti. Per questo i ricercatori hanno manipolato il loro genoma per trasformarli in killer di batteri. In pratica, hanno rimosso un gene che permetteva ai fagi di riprodursi all’interno di una cellula del batterio senza danneggiarla. Ma dato che l’obiettivo era proprio distruggere questa cellula, gli scienziati hanno eliminato questo gene. In questo modo, i fagi si riproducevano e schizzavano fuori dalla cellula, facendola scoppiare.

Una volta ottenuto questo risultato, gli scienziati hanno combinato i tre fagi in una sorta di cocktail, che è stato purificato e testato rispetto alla sicurezza. Nel giugno 2018, il trattamento è stato somministrato alla ragazza tramite due iniezioni intravenose al giorno, una dose che conteneva miliardi di fagi. Dopo sei settimane, l’esame del fegato ha mostrato che l’infezione era sparita e ad oggi, dopo sei mesi, i noduli sulla pelle sono scomparsi ad eccezione di uno o due. E i batteri non hanno dato segni di aver sviluppato una resistenza a questi fagi.

Il trattamento di oggi potrebbe anche essere utile per approcci più ampi, per malattie come la tubercolosi, causata dal Mycobacterium tubercolosis, imparentato col batterio di oggi.

Ora, la sfida principale sarebbe quella di riuscire a trovare i fagi idonei per il trattamento dell’infezione di ciascun paziente, sottolineano gli autori. In un’ipotetico scenario futuro gli scienziati potrebbero essere in grado di mescolare i fagi in cocktail personalizzati per ogni singola infezione.

vrita 1 di Viola Rita  Fonte: W I R E D . it



 

 

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