Quella di Giulia Bazzichi è solo una delle migliaia che si alternano in silenzio. Tutto ha inizio con la nascita di Giulia. Tutto sarebbe perfetto, se non fosse per una malformazione cardiaca, una malattia genetica di cui entrambi i genitori erano portatori sani. Cardiomiopatia ipertrofica, in una forma molto aggressiva.
Con questa molti possono vivere senza arrivare al trapianto, ma non Giulia. Da piccola cercava di fare tutto, ma con l’obbligo di riposare ogni volta che si sentisse stanca. Fuori discussione ogni forma di sport agonistico, soprattutto perché si sapeva che avrebbe dovuto abbandonarlo.
A 14 uno dei primi interventi: l’impianto di un defibrillatore. Crescendo ha avuto una vita normale, ma man mano si affaticava sempre di più col passare del tempo. A 19 anni è entrata in scompenso cardiaco, quindi il cuore era così affaticato da non riuscire più a pompare sangue agli altri organi. A 23 anni, altri peggioramenti con fibrillazioni atriali, poiché il cuore si era dilatato.
Nonostante il susseguirsi di interventi e terapie, il problema continuava a ripresentarsi. Ecco allora la scelta dei medici di metterla nella lista dei trapianti. I mesi che seguirono erano una continua monitorizzazione, per rimanere nei parametri per la donazione.
Dopo un anno poi è arrivata la chiamata. «È stato un anno tosto, perché stai male e hai paura. Dall’altra parte, però, sai che potrai tornare a vivere, facendo anche più cose. È qualcosa che non dipende né dai medici, né da te. Sei in attesa – racconta Giulia, che oggi ha 27 anni – vivi un senso di contrasto perché sai che il trapianto ti salverà e speri che possa arrivare presto, ma nello stesso tempo sei consapevole che per far si che arrivi questo cuore, qualcuno muoia. Vivi un mix tra gioia, dolore e sensi di colpa».
A questo si somma un continuo senso di ansia e angoscia: «Si deve essere sempre reperibili, poiché la chiamata può arrivare da un momento all’altro. Quando è arrivata a me, ero a cena con degli amici. Corsi in ospedale per fare tutte le analisi. Non è detto però, che il trapianto si faccia, finché il cuore non entra in sala operatoria, poiché durante il tragitto può succedere di tutto. Io sono stata fortunata».
La differenza si sente fin da subito. Un battito nuovo, una pressione nuova, una sensazione molto bella. Si incomincia la riabilitazione, il corpo deve trovare il suo equilibrio. Giulia ci riesce e ora recupera tutto ciò che non ha mai potuto fare.
In Italia è vietato sapere chi sia il donatore: «Ho fatto delle ricerche, tra gli incidenti di quei giorni e ho scoperto che la mia donatrice era una ragazza di 26 anni. Avrei voluto scoprire di più su di lei, ma nello stesso tempo avevo paura della reazione della famiglia. – racconta – Una sua cugina mi ha contattata. Mi piacerebbe scoprire chi fosse, da dove venisse e quali sogni avesse».
Giulia si impegna anche per la sensibilizzare sulla possibilità di cambiare la legge del “silenzio-assenso”, cioè rendere tutti i cittadini donatori di organi, con la possibilità per chi non volesse di segnalare la sua volontà. Questo anche per sollevare dalla decisione i famigliari nei momenti di maggiore difficoltà. Ci deve essere, inoltre, la possibilità di una scelta consapevole.
Sei mesi dopo il trapianto ha trovato un lavoro come impiegata in Rai, ha incominciato a fare sport, e un anno dopo si è anche sposata con annesso viaggio di nozze in Canada e Santo Domingo, una cosa che non si sarebbe mai potuta fare con la sua malattia.
«Ho iniziato a fare delle corse per sentirmi viva, perché non avevo mai potuto correre prima. Ora concludo gare anche di 10km. Faccio un po’ di tutto: arrampicata, canoa, trekking, snowboard, mountain bike…». Ora tra i desideri anche quello di diventare mamma. Un esempio di donazione che non solo restituisce la vita, ma che contribuisce anche a crearne altre.
(Deborah Villarboito, Il-Cosmo.com)