Donare il midollo osseo oggi è più semplice, eppure l'Italia è il fanalino di coda. Ecco perché, come si dona, cosa succede a chi fa il trapianto.
Lorenzo ha 15 anni. Ne aveva due e mezzo quando gli è stata diagnosticata una forma di leucemia acuta. Oggi frequenta la prima liceo scientifico ed è vivo grazie al trapianto di midollo osseo. Anche Francesca ha ricevuto il midollo di un donatore sconosciuto. Ha 49 anni e a 37 la sua vita è svoltata nel giro di due settimane, a causa di una leucemia molto aggressiva.
Il trapianto di midollo cura i tumori del sangue
Leucemia, mieloma e linfoma sono tra i tumori del sangue più diffusi. Ogni anno in Italia si ammalano migliaia di bambini, donne e uomini. Di mieloma soffrono 14mila persone e si contano ogni anno 5.700 nuovi casi. La leucemia mieloide acuta (quella più frequente nei bambini) riguarda 3.200 pazienti ogni anno. Il linfoma colpisce 10 persone ogni 100mila abitanti, 400 nuovi casi all’anno. Spesso l’unica cura per guarire, dopo che chemio e radio sono risultate inutili, è il trapianto di midollo osseo, che può salvare la vita a centinaia di persone ogni anno. Eppure l’Italia è tra gli ultimi Paesi al mondo per numero di donatori di midollo: 42mila rispetto, per esempio, ai 6 milioni di tedeschi.
Perché in Italia si dona poco il midollo osseo?
Le ragioni sono varie. «Della donazione del midollo osseo si parla poco, è vero, e spesso si confonde con la donazione del midollo spinale, che non esiste» spiega Rita Malavolta, presidente di Admo (Associazione donatori midollo osseo). «Ma non si tratta solo di una questione culturale. In Germania, ma anche Olanda e Gran Bretagna, il sistema per “tipizzarsi” ed essere poi iscritti nel Registro donatori è più semplice: ci si registra online e si riceve a casa una busta con un questionario e un kit con cui farsi il prelievo della saliva da soli. In Italia serve la presenza di un sanitario e questo sicuramente complica le cose. E poi una delle convinzioni più radicate è che si possa donare tra consanguinei: invece la probabilità di trovare un donatore compatibile nell’ambito familiare è solo del 25 per cento».
Come si diventa donatori
Ogni persona ha una probabilità su 100mila di incontrare un donatore con un sistema immunitario compatibile al cento per cento. Quindi la speranza di trovare un midollo ideale per il trapianto è legata all’esistenza del maggior numero possibile di donatori volontari tipizzati, dei quali cioè sono già note le caratteristiche genetiche. Per questo occorre iscriversi al Registro nazionale dei donatori (IBMDR, Italian Bone Marrow Donor Registry). In Italia il Registro viene gestito all’ospedale Galliera di Genova in convenzione con il Ministero della Salute e il Servizio sanitario nazionale.
Come avviene la tipizzazione
La tipizzazione serve a depositare il proprio codice genetico. Basta un campione di saliva per individuare il proprio midollo osseo e “marchiarlo”. I dati vengono poi inseriti in una banca dati mondiale. La tipizzazione può avvenire in luoghi pubblici come scuole e università, dove Admo svolge campagne di informazione, oppure direttamente negli ospedali presso il centro trasfusionale.
Chi può donare
L’età ideale per iscriversi come donatori di midollo osseo è tra i 18 e i 35 anni. Si può essere chiamati fino a 55 anni ma in questa fase aumenta il rischio di ammalarsi e quindi di non poter donare. Per donare occorre essere sani e non avere malattie autoimmuni come morbo di Basedow, patologie come certe forme di diabete e tumori pregressi.
Come si dona: la nuova tecnica
Finora donare il midollo voleva dire entrare in sala operatoria e sottoporsi a un vero intervento chirurgico. «Il midollo osseo veniva estratto dalla cresta iliaca, la zona in cui il corpo ne produce di più» spiega Raffaele Aloe, biotecnologo medico. Un atto di generosità ai limiti dell’eroismo, soprattutto se il ricevente non era un familiare, ma una persona sconosciuta.
Adesso invece donare è più facile. «La donazione oggi funziona come una trasfusione di sangue: qualche giorno prima, il donatore si sottopone a una cura a base di fattori di crescita, cioè farmaci che aumentano la produzione di cellule staminali da parte del midollo osseo» spiega il dottor Aloe. «Il midollo è un tessuto gelatinoso (contenuto soprattutto nelle ossa piatte, quindi femore, sterno e bacino) costituito da cellule staminali ematopoietiche, cioè cellule da cui si originano tutti gli elementi del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Per poter donare queste cellule, il corpo viene stimolato a produrle in eccesso e “mobilizzarle”, cioè farle letteralmente staccare dalle ossa e mandarle in circolo. Il sangue del donatore, aspirato da un braccio, viene convogliato in una sorta di centrifuga che separa le cellule staminali prodotte per l’occasione. Quindi, così trattato, viene reinfuso nell’altro braccio».
Cosa succede a chi riceve il midollo osseo?
Il donatore dopo qualche ora può andare a casa. Ma per il ricevente inizia un calvario, necessario per accedere alla sua nuova prospettiva di vita. «Individuato il donatore, che deve avere caratteristiche immunologhe molto simili, il paziente entra in un periodo di “condizionamento” prima di accogliere il nuovo midollo: vive isolato per diverse settimane in una camera sterile dove viene sottoposto a chemio e radioterapia così potenti da azzerare il suo sistema immunitario. In pratica, le sue ossa vengono svuotate e preparate ad accogliere il nuovo midollo» spiega Rita Malavolta. «In questo periodo la persona ammalata vive solo grazie a trasfusioni di sangue perché il suo corpo non ne produce più. È una fase dolorosa e delicata, che culmina con l’infusione della sacca del donatore, quando le cellule staminali ritornano nelle ossa e cominciano a moltiplicarsi e differenziarsi negli elementi del sangue».
Chi riceve il midollo "diventa" un'altra persona
A poco a poco la persona ammalata acquisisce il sistema immunitario del donatore. E succedono cose curiose, normali per la scienza, miracolose agli occhi di chi guarda. «Chi riceve vede cambiare il suo gruppo sanguigno, spesso deve rifare delle vaccinazioni perché il donatore non le ha eseguite oppure inizia a mangiare cibi a cui magari prima era allergico» aggiunge la presidente di Admo. Le persone che hanno subito un trapianto per questo vengono definite “chimere”, creature con un proprio codice genetico ma il sangue di un altro. E per loro inizia un’altra avventura, tra luci e ombre, come testimoniano le storie di Francesca e del giovane Lorenzo.
Francesca Martinese, Bologna
Oggi Francesca ha 49 anni, fa sempre il lavoro impegnativo di prima, che la porta spesso all’estero, ma nella sua vita di trapiantata è diventata una runner: corre per sentire il suo corpo vivo e palpitante, dopo che 12 anni fa è rimasto congelato per due anni tra terapie, trapianto e cure per evitare il rigetto. «Quando mi sono ammalata credevo fosse solo stanchezza. Ero ad Amsterdam per lavoro. Invece avevo una leucemia acuta. Chemio e radio non funzionavano. Solo il trapianto avrebbe potuto salvarmi, ma avevo poco tempo. Ci sono voluti cinque mesi per trovare il donatore ideale, finché ne è arrivato uno compatibile addirittura al cento per cento. Succede molto raramente e mai tra consanguinei. Io sono stata fortunata. Quando ho affrontato il trapianto ero al limite delle forze e della voglia di vivere, dopo un mese passato da sola nella stanza sterile mentre la chemio distruggeva il mio midollo osseo. Pensavo che sarei morta: mi si spaccavano le mucose, la trachea, la faringe. Invece dopo 20 giorni il midollo ha attecchito e di lì a poco sono tornata in piedi. Poi altre cure, altre terapie per evitare il possibile rigetto: sembra fantascienza, ma può succedere che il sistema immunitario nuovo non riconosca l’intero corpo. A me non è capitato. Mi capita invece di pensare spesso alla mia donatrice, che ho scoperto essere un’americana di 35 anni. Non so cosa le direi. Di sicuro la abbraccerei e tenterei di ringraziarla, ma il mio gesto non sarebbe mai all’altezza del suo».
Lorenzo Corradi, Roma
Lorenzo è un ragazzo di 15 anni riflessivo, bravissimo a scuola. Si porta dietro tutta l’eredità della sua malattia: oltre a un pensiero più maturo dei coetanei, oggi ha tanti problemi agli occhi, alla tiroide, ai denti, disfunzioni nella crescita e nello sviluppo. Ha subito il trapianto di midollo all’ospedale di Pavia, dove i suoi genitori si sono trasferiti da Roma appena saputo della malattia, come racconta Giulio, il padre. «A gennaio 2007 la diagnosi di leucemia, poi i tentativi di cura con chemio e radio. Inutili, la malattia era troppo aggressiva. A novembre si trova il donatore e si esegue il trapianto, subito dopo nasce il fratellino, Fabio, che stavamo aspettando quando Lorenzo si è ammalato. Un garbuglio di emozioni, vertigini, sensi di colpa e macigni nel cuore. Mia moglie è stata 40 giorni in camera sterile con il bambino e intanto io le portavo l’altro figlio da allattare. Non so come siamo riusciti a fare tutto ciò. Poi a maggio dell’anno dopo il ritorno a casa e l’inizio della spola continua tra Roma e Pavia per i controlli e le terapie anti rigetto». Tra alti e bassi, Lorenzo cresce e nel frattempo la vita si snocciola tra un anno e l’altro. Nasce anche il terzo figlio (che ora ha sette anni) e Giulio e mamma Antonella si iscrivono al registro donatori, per restituire il dono che hanno ricevuto. «Sono stato chiamato dopo poco tempo. E così ho aiutato un padre di famiglia, come me, a tornare a casa dai suoi figli. Questo per me ha voluto dire far vivere Lorenzo un’altra volta ancora».
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