Qualche giorno fa a Bologna è stato eseguito il primo trapianto al mondo di vertebre, mentre qualche mese prima a Torino è stato eseguito il primo trapianto combinato di quattro organi (polmoni, fegato e pancreas) in Europa. Ma i primati sono molti di più. "L'Italia dei trapianti è certamente una realtà all'avanguardia a livello internazionale, sia sotto il profilo clinico, sia sotto quello organizzativo", conferma Massimo Cardillo, direttore generale del Centro nazionale trapianti (Cnt).
"Solo per guardare all'ultimo anno - continua - a Padova c'è stato il primo trapianto di fegato al mondo su un paziente con metastasi epatiche inoperabili, mentre al Policlinico di Milano, grazie a tecniche di perfusione e ricondizionamento, è stato possibile conservare un polmone per oltre 30 ore in attesa di poterlo trapiantare in un paziente affetto da fibrosi cistica: anche questo è un record mondiale, come il trapianto di fegato eseguito a Roma in una paziente con metastasi epatiche da carcinoma mammario".
È tutta italiana anche la tecnica dello "split liver", che permette di dividere in due un singolo fegato donato per realizzare due trapianti, uno su un adulto con la porzione più grande e uno su un bambino con la porzione più piccola. "In particolare, il trapianto nel paziente pediatrico - aggiunge Cardillo - è un'altra eccellenza tutta italiana, che consente oggi di curare non solo i bambini italiani ma anche molti bambini che arrivano da Paesi dove queste terapie non sono disponibili". Sempre per quanto riguarda il trapianto epatico, i criteri di trapiantabilità del fegato in pazienti con tumore epatico primitivo sono stati definiti in Italia, e sono universalmente conosciuti come i - criteri di Milano -. "Infine, voglio ricordare che il programma di trapianto di rene doppio da donatori molto anziani è nato in Italia negli anni '90, a Bergamo per la precisione, è stato poi esteso a molti altri centri e consente ancora oggi di utilizzare reni che prima venivano scartati"
Il segreto dell'eccellenza italiana si cela dietro un ottimo sistema di rete, che permette di valorizzare le grandi qualità delle scuole chirurgiche grazie a un'organizzazione che mette insieme la raccolta delle dichiarazioni di volontà alla donazione, i prelievi di organi, la conservazione e il trasporto, fino al trapianto e al follow up. "Le nostre eccellenze, riguardano non solo il trapianto di organi, ma anche quello di tessuti, come dimostra il caso del trapianto vertebrale a Bologna", dice Cardillo. "La Rete trapianti è un esempio di come il fare squadra sia un valore aggiunto, specialmente in sanità, perché i trapianti non sono un lavoro da solisti". Non dimentichiamo infine che il trapianto in Italia è inserito nei livelli essenziali di assistenza, quindi è una terapia gratuita, assicurata da un sistema sanitario solidaristico.
Come ha fatto l'Italia ad arrivare a questi livelli di eccellenza
"Imparando dalle esperienze virtuose a livello internazionale, curando ogni singolo nodo organizzativo della rete, investendo molto in formazione e in comunicazione, valorizzando le realtà territoriali", risponde Cardillo. "E, soprattutto, non nascondendo le criticità.
La Rete trapianti italiana funziona bene ma ha ancora tanto da migliorare: abbiamo bisogno di crescere nella segnalazione dei potenziali donatori, dobbiamo ridurre le opposizioni, specialmente al Sud, dobbiamo aumentare le donazioni da vivente e a cuore fermo. Dobbiamo fare in modo che migliori ancora l'organizzazione degli ospedali, e la cultura della donazione, specialmente tra i giovani. Oggi abbiamo 9 mila pazienti in lista d'attesa e 3.700 trapianti eseguiti ogni anno, non è sufficiente. Saper riconoscere i propri limiti è la chiave per migliorare costantemente, e noi proviamo a farlo sempre".21 ottobre 2019 Fonte: agi LIVE