«Il primo vaccino è pensare agli altri»

È passato un anno da quando Marco Lucchini ha donato un rene alla moglie Monica Beghini: ora lanciano l'appello per proteggere le persone più a rischio

Lucchini

Spiegano: «Dobbiamo capire che siamo gli uni legati agli altri. Ci preoccupa vedere chi si arrabbia perché non può più fare l'aperitivo in compagnia»

Le restrizioni messe in atto nelle ultime settimane stanno contribuendo a diffondere comportamenti più responsabili nella prevenzione del Covid-19, talvolta però derivati da misure coercitive anziché da una reale presa di coscienza del problema. Per questo Marco Lucchini, 61 anni, e sua moglie Monica Beghini, 51, di Lazise, si appellano al cuore delle persone.

A metà novembre è ricorso il primo anniversario della nuova vita di Monica, resa possibile grazie al trapianto di un rene che le ha donato il marito Marco.Una nuova vita segnata però da altre e inaspettate difficoltà: alla lunga convalescenza e alla terapia antirigetto si è sommata la pandemia, che come per molte altre persone malate e immunodepresse ha comportato per lei, e di riflesso anche per suo marito, l'adozione di precauzioni ancora più scrupolose.

«Vediamo molti casi in cui il vero vaccino necessario sarebbe quello dell'empatia», dicono i coniugi di Lazise, paese in cui sono nati e dove gestiscono un'attività ricettiva a livello familiare. «In questo anno non abbiamo mai fatto un pranzo con i nostri parenti, quando viene a trovarci nostro figlio ci mettiamo se possibile sul terrazzo», racconta Marco, preoccupato per il numero crescente di contagiati. Giornate fatte di rinunce ben più pesanti rispetto a quelle di chi non vive questa condizione di estrema fragilità. Insieme si concedono qualche passeggiata, vanno al supermercato, ma sempre calcolando i momenti di minore affollamento.«Ogni nostro movimento è in funzione di trovare meno gente possibile sulla nostra strada.

Siamo preoccupati e arrabbiati quando vediamo che ci si stizzisce perché momentaneamente ci vengono limitate alcune libertà, o che per qualcuno fare l'aperitivo in compagnia viene prima della vita. Perché invece non si capisce che siamo gli uni legati agli altri?», si chiedono, allarmati da «chi ancora non rispetta le regole o peggio nega la gravità del problema. «Se da una parte le istituzioni pubbliche cercano di contenere il contagio, dall'altro ci sono ancora troppe persone che appena possono eludono protocolli e distanziamento sociale», sottolineano.

«La nostra speranza», aggiungono, «è che il periodo che stiamo vivendo sia davvero un'occasione per tutti di crescita e di comprensione di ciò che significa corresponsabilità». Il loro è un messaggio a nome di tutte le persone che più delle altre soffrono e vivono le conseguenze di questa situazione. «Le categorie a rischio sono tante: anziani, malati oncologici, tra i quali purtroppo ci sono molti bambini, cardiopatici, ma anche chi deve andare all'ospedale quattro volte alla settimana per sottoporsi alla dialisi e chi, a causa dell'emergenza, deve rimandare interventi chirurgici anche importanti», sottolineano, ritenendosi fortunati rispetto ad altre situazioni di sofferenza.

Prima di ricevere la risposta che il trapianto di rene dal marito era possibile, anche Monica ha rischiato di dover ricorrere alla dialisi.

Abituati a condurre una vita regolata, quest'anno la pandemia ha solo posticipato la riapertura del loro hotel.«Monica sta seguendo la terapia antirigetto, non è facile, ma lei è molto forte e non si lamenta mai», riprende Marco, «ha lavorato con me da metà giugno, accogliendo i clienti alla reception e preparando con me le colazioni. Abbiamo applicato tutti i protocolli di sicurezza, tutelando così noi e i nostri ospiti, ma abbiamo chiuso l'attività a inizio ottobre quando tempo e clima non permettevano più di fare le colazioni all'aperto».

In attesa del vaccino contro il Covid e di terapie sempre più efficaci per combattere la malattia «confidiamo nell'intelligenza delle persone», concludono Marco e Monica, tornando sul motivo del loro appello.

Lo sguardo di Marco è ora rivolto al campo sociale: «Appena sarà possibile, con l'associazione Aido (Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule, ndr) porterò nelle scuole la testimonianza del valore della donazione e, prima ancora, del rispetto del proprio corpo per poter avere un fisico in grado, un giorno, di aiutare gli altri anche con questo gesto».

KATIA FERRARO - LìArena 24/11/2020

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