“ERO uscito per la terza volta dalla camera operatoria, e giacevo a letto semicosciente, lottando tra la vita e la morte. Un giovane chirurgo pugliese mi si è seduto accanto. Evidentemente sapeva che sono uno scrittore perché ricordo che mi ha detto: ‘tu ami la letteratura, vero? Lo ricordi L’Amore al tempo del colera?’. Poi ha citato una frase tratta dal libro, mi ha chiesto di memorizzarla e ripeterla fino a quando non avessi ripreso conoscenza. E ha passato la notte così, al mio fianco, facendomi compagnia mentre tornavo lentamente alla vita”.
È così che Francesco Abate, scrittore e giornalista cagliaritano, ricorda una delle notti più importanti della sua vita: quella in cui sarebbe dovuto morire per le complicazioni di un trapianto di fegato, e in cui invece, grazie anche alla competenza e alla testartardagine dei suoi chirurghi, è iniziata finalmente la sua seconda vita. Come lui, ogni anno migliaia di italiani si trovano ad affrontare il percorso di cura che porta a un trapianto di fegato: nei prossimi 10 anni saranno circa 15mila, e il problema è che potrebbero non essere fortunati come Abate. Un’intera generazione di specialisti sta infatti per andare in pensione, e al momento non si riesce a intravedere un ricambio adeguato. L’allarme arriva da Epateam, una rete di specialisti che riunisce i maggiori esperti italiani di trapianti di fegato: carenza di nuove leve, crisi di vocazioni, fascino della professione nettamente in calo rischiano seriamente di mandare in default il sistema trapiantologico italiano.
Una professione in crisi
Anche oggi, il mondo dei trapianti non se la passa poi troppo bene. Non per risultati, visto che il sistema trapiantologico italiano è un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale. Quanto piuttosto per una cronica carenza di personale che si ripercuote sui suoi protagonisti: i chirurghi. Forze risicate, turni massacranti, il rischio sempre presente che qualche imprevisto si trasformi in una battaglia legale. Un mestiere gravoso, insomma, che si affronta più per vocazione che per calcolo o guadagno. E che non sembra più interessare alle nuove generazioni. “I reparti che si occupano di chirurgia dei trapianti non attraggono più specializzandi”, confida Lucio Caccamo, chirurgo della Fondazione Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e coordinatore nazionale di Epateam. “Il problema è che nei prossimi cinque anni moltissimi colleghi andranno in pensione, e con quota cento il numero è destinato a salire ulteriormente. Se non cambierà qualcosa il sistema rischia il collasso
anche perché, a fronte di una diminuzione drastica degli specialisti, il numero di trapianti è invece destinato a salire”.
Fegato: nemici vecchi e nuovi
Le nuove tecnologie stanno aumentando notevolmente la disponibilità di organi per il trapianto, in particolare di quello di fegato. E se il grande nemico del passato, il virus dell’epatite C, oggi è stato praticamente sconfitto dall’arrivo dei nuovi farmaci, questo non vuol dire che la necessità dei trapianti sia destinata a diminuire. Tutt’altro: il numero di trapianti di fegato nei prossimi anni salirà notevolmente. Colpa – spiegano gli esperti di Epateam – dell’obesità e delle malattie metaboliche, che causano una degenerazione del fegato definita steatosi epatica non alcolica. Un disturbo che colpisce un numero sempre maggiore di persone, seconda causa di trapianto di fegato negli Usa. “Oggi viaggiamo sui 1.250 trapianti di fegato l’anno – spiega Caccamo – ma nei prossimi 10 anni le nostre stime ci dicono che si arriverà intorno a quota 1.500, soprattutto per l’aumento di pazienti che verranno sottoposti a trapianto per via della steatosi epatica non alcolica”.
Se non si assisterà a un ricambio degli specialisti che si occupano di trapianti la situazione è quindi destinata a farsi sempre più complessa. E quando si parla di trapianti, gli intoppi si contano in termini di vite umane. “La situazione è grave, ed è necessario lavorare a tutti i livelli per affrontarla”, continua Caccamo. “Dobbiamo riuscire ad aumentare l’attrattiva della nostra professione per i giovani medici. E’ senza dubbio un lavoro duro, ma dà enormi soddisfazioni sul piano umano e professionale e offre la possibilità di stabilire un rapporto medico-paziente molto profondo. Sia durante il percorso che porta all’operazione che per il resto della vita del paziente”.
Il rapporto speciale con i malati
Proprio il rapporto tra specialisti di trapiantologia e i loro pazienti è al centro dell’incontro romano per festeggiare il primo anno di Epateam. Una serata con tre pazienti trapiantati e i medici che li hanno in cura. Compreso Francesco Abate, che ai trapianti ha dedicato il libro “Torpedone Trapianti”, edito da Einaudi, in cui racconta l’avventura vissuta in una rimpatriata con altri 100 trapiantati, a 10 anni esatti dall’operazione che gli ha cambiato la vita. “Il rapporto che si instaura tra un trapiantato e i suoi medici è strettissimo, un legame indissolubile, diventano persone di famiglia”, racconta. “Sono persone che incontri quando stai per morire, che ti aiutano a tornare alla vita e che continui a vedere ogni 15 giorni per moltissimi anni. Ho conosciuto tantissimi medici che si occupano di trapianti negli ultimi anni, in tutte le parti d’Italia, e posso dire che sono tutti persone straordinarie, con una grande umanità”.
Fonte: StaNotizie.it 22/02/2019