Lui, sempre sorridente e speranzoso, era ormai arrivato a percepire la sua vita come qualcosa di lontano da sé, cui pensavano solo le macchine. Poi la comunicazione che avrebbe subito il trapianto. E tutto è cambiato.
Proprio ieri sono trascorsi cinque anni da quando Giuseppe Perotti, 54 anni di Ceredello, è stato sottoposto a un trapianto bipolmonare che lo ha riportato alla vita. Lui la definisce «quasi normale», anche se controllata e curata con farmaci. Attorniato dalla famiglia – la moglie Antonella Pachera 50 anni, il figlio Nicola di 27, la cognata Luciana di 44 e il nipote Manuel – ha superato un calvario conclusosi grazie alla donazione di un trentenne. «Non ne conosciamo l’identità, ma ringraziamo infinitamente lui e i suoi cari per aver salvato Giuseppe e altre persone di Verona e provincia, alle quali ha donato reni, fegato e cuore», dicono i familiari che si sono tutti iscritti all’Aido. «È il minimo che potessimo fare», dichiarano. Racconta Giuseppe: «Nel 2000 mi diagnosticarono un linfoma di Hodgking. Fui curato ma ne seguì una fibrosi polmonare che mi costrinse alla dipendenza dall’ossigeno. Non potei più fare il mio lavoro di metalmeccanico. Faticavo a fare tutto, dovevo sempre stare fermo. Per 10 anni, fino al 2010: a quell’epoca ero seguito da un centro in provincia di Pavia, dove facevo anche riabilitazione». I risultati erano però deludenti. «Un giorno, nel 2009, fui sottoposto a Verona a una emogasanalisi arteriosa. L’esito fu spaventoso», afferma. «Mi consigliarono di andare subito in ospedale».
Ricorda la moglie con gli occhi pieni di lacrime: «Corremmo in Borgo Trento dove Giuseppe fu ricoverato in pneumologia. Intanto ci eravamo rivolti all’ospedale di Padova chiedendo che si valutasse il trapianto: secondo il centro di Pavia era l’unica possibilità di salvezza. Consigliati dai medici della pneumologia di Verona, inoltrammo un’ulteriore richiesta all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo».
«Intanto», prosegue lui, «peggiorai al punto da essere trasferito in terapia intensiva. Guardando gli altri malati ormai assenti, mi sentivo perduto». E i familiari: «Eravamo pronti al peggio. Non ci restava che pregare».
«Il 29 gennaio, mentre andavamo a trovarlo, il telefono squillò. Esitai a rispondere», riprende la moglie Antonella, «temevo di sentirmi dire che Giuseppe se n’era andato, invece mi chiesero di affrettarci: stavano iniziando la fase preparatoria al trapianto, dovevamo salutarlo. Giuseppe partì per Bergamo di notte, in elicottero, durante una bufera di neve». «Quando mi fecero sapere che il donatore era arrivato provai un’emozione fortissima e pensai subito che sarebbe andato tutto bene», ammette Giuseppe. L’intervento fu molto impegnativo: «Durò 18 ore il 30 gennaio e altre 6 il 31». «I primi giorni», ricorda la cognata, «Giuseppe sembrava senza vita. Poi iniziò a migliorare, a mangiare, a camminare, a fare riabilitazione respiratoria. Grazie a questi medici meravigliosi e a quel giovane che, morendo, ha donato la vita a tante persone».
E adesso? «Vivo bene, anche se prendo varie medicine e non posso lavorare. Aiuto l’Atletica Baldo Garda a seguire i bambini, sono nonno di una meravigliosa nipotina. Posso persino far parte dell’Unione marciatori veronesi». La prossima camminata sarà domani, durante la Fiera di San Valentino a Bussolengo.
Giuseppe Perotti conclude: «Sono stato fortunato, chi sta aspettando un trapianto deve sperare. Ringrazio i medici della pneumologia di Borgo Trento, quelli dell’Ospedale di Bergamo – col direttore del Centro trapianti Michele Colledan – in particolare il dottor Alessandro Lucianetti responsabile della chirurgia toracica che ha eseguito l’intervento e lo pneumologo Piercarlo Parigi che mi segue». Spiega il dottor Lucianetti: «Si è trattato di un trapianto bipolmonare per fibrosi. Giuseppe Perotti era arrivato in condizioni terminali, ora sta bene, conduce una vita normale, anche se deve prendere farmaci antirigetto e venire da noi per sottoporsi a controlli costanti».
Barbara Bertasi